Laogai

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1 Zorro, 6/03/06 19:33

Una parola a me sconosciuta fino a quando un amico mi manda una email con un articolo un po' strano.
Penso inizialmente che sia una delle solite bufale che girano in rete, poi, per scrupolo faccio una ricerca su altavista e trovo un mucchio di informazioni che convergono alla stessa drammatica scoperta.
L'antipatia che nutro da molto tempo per i prodotti "made in Cina" viene per lo più dalla consapevolezza che siano frutto di concorrenza sleale e mancanza di rispetto verso i lavoratori che li producono: salari bassi, poche o niente ferie, nessuna indennità, nessun rispetto delle leggi sulla tutela della salute del lavoratore, ed inoltre nessun rispetto per le norme di tutela dell'ambiente.
Ora scopro che dietro quei bei pantaloni di terranova o quel sensuale completino di Pinkie ecc ecc si nascondono cose che la mia mente già parecchio pessimista non poteva immaginare.
Ho deciso di aprire questo topic perchè credo che l'uomo abbia, come tutti gli animali, i propri diritti e perchè spero che questa spaventosa notizia cominci a girare in rete.
Molti di voi magari sono già al corrente di questa cosa, io invece mi domando: perchè i giornali mi informano dello squaraus di una ragazza di Playboy e non mi hanno mai avvertito che quando compro "made in Cina" alimento
questo mercato perverso?
Vi pubblico uno dei tanti articoli che ho trovato sull'argomento .... vi prego .... ditemi che è una
bufala!
Z

2 Zorro, 6/03/06 19:33

Vi racconto gli orrori dei laogai i lager cinesi

La testimonianza diretta di chi è riuscito a fuggire dal terribile regime cinese.

Mao Tse Tung(From www.corante.com)

Mani curate, cravatta rossa e una certezza: l'economia cinese è basata sullo schiavismo. D'accordo, ne parleremo, ma anzitutto chiediamo a Harry Wu se vuole parlarci dei suoi diciannove anni rinchiuso in un laogai. Ci guarda mestamente: «Devi prima capire che cos'è davvero un laogai». E noi credevamo di saperlo: sono dei campi di rieducazione voluti da Mao Zedong che hanno accolto non meno di cinquanta milioni di persone dalla loro costituzione, praticamente l’Italia intera; si è calcolato che non esista un cinese che non conosca almeno una persona che vi è stata soggiogata. E mia detenzione che non prevede processo. non prevede, imputazione, tanto meno esame o riesame giudiziario o possibilità di confrontarsi con un’autorità. La decisione di rinchiuderti è a totale discrezione del Partito. «Ma loro» dice «per definirti usano la parola prodotto, e il primo prodotto sei tu, quello che devi diventare: un nuovo socialista. Il secondo è un prodotto vero e proprio, tipo scarpe, vestiti, spezie, tessuti, qualsiasi cosa. Ogni laogai ha due nomi: quello del centro di detenzione e quello della fabbrica. Tu devi affrontare una quota di lavoro quotidiano, sino a 18 ore, sennò non ti danno da mangiare. Spesso devi lavorare in condizioni pericolose, come nelle miniere, con prodotti chimici tossici». Una pausa, scuote la testa: «Ma neppure questo, in realtà, è il laogai». E’ come se Harry Wu, cinese fuggito negli Usa, non volesse parlare di sé. Eppure è presidente della Laogai Research Foundation, è una prova vivente, fu arrestato a ventidue anni dopo che all’università, leggendo un giornale assieme ad altri studenti, aveva semplicemente criticato l'appoggio cinese all'invasione sovietica di Budapest. Delazione. Manette. Nessun tribunale, nessuna prova o indizio, nessuna accusa precisa se non quella d'essere un cattolico e un rivoluzionario di destra. «Il primo giorno, a Chejang, mi dissero che per potermi rieducare sarebbe occorso molto tempo. Poi mi spiegarono che non avrei neppure potuto pregare nè sostenere di essere una persona; perché mi avrebbero punito o ucciso. Mi obbligarono a confessare delle presunte colpe dopo aver costretto alla confessione anche mio padre, mio fratello, la mia fidanzata. Solo mia madre rifiutò di farlo. Sono stato molto orgoglioso di lei». Un'altra pausa. L'impercettibile imbarazzo di Toni Brandi, il coordinatore della Fondazione, che ci sta facendo da interprete: «Non ha confessato perché si è suicidata». E tutto, attorno, comincia a farsi stretto, troppo in distonia col racconto, e troppo rossa quella cravatta rossa, troppo pulita la moquette di quell'hotel nel centro di Milano. «I primi due o tre anni», racconta Harry Wu, «pensi alla tua ragazza, alla tua famiglia, alla libertà, alla dignità: poi non pensi più a niente. Perdi ogni dimensione, entri in un tunnel scuro. Preghi di nascosto. In un laogai non ci sono eroi che possano sopravvivere: a meno di suicidarti o farti torturare a morte. Scariche elettriche. Pestaggi manuali o con i manganelli. L’utilizzo doloroso di manette ai polsi e alle caviglie. La sospensione per le braccia. La privazione del cibo e del sonno. Questo ho visto, e così è stato per preti, vescovi cattolici, monaci tibetani». Ci mostra la foto di un vescovo di 33 anni, e ancora altre foto in sequenza che nessun quotidiano o rotocalco potrà mai riportare: uomini e ragazzi inginocchiati, una ragazzina immobilizzata da due soldati mentre un terzo le punta il fucile alla nuca, una foto successiva in cui è spalmata a terra con il cranio orribilmente esploso. Poi un filmato. E’ un dvd curato dall'associazione, e dovrebbero vietarlo ai minori e agli occidentali in affari con la Cina: esecuzioni seriali, di massa, i condannati inginocchiati, prima la fucilata e poi lo stivale premuto forte sullo stomaco per controllare che morte sia stata, un ufficiale di partito che per sincerarsene usa una sbarra d'acciaio,
e anche di questo qualcosa sapevamo, ma come dire: il video, un video. Sapevamo pure delle fucilazioni e delle camere mobili di esecuzione: furgoni modificati che raggiungono direttamente il luogo dell'esecuzione con il condannato legato con cinghie a un lettino di metallo, il tutto controllato da un monitor accanto al posto di guida. Poi via, si riparte verso altre esecuzioni da effettuarsi pochi minuti dopo l'emissione della condanna a morte. Noi sapevamo che la maggior parte delle condanne è pronunciata in stadi e piazze davanti a folle gigantesche, e che le cose, in Cina, sono tornate a peggiorare dal 2003, laddove ogni anno vengono giustiziati più individui che in tutti i Paesi del inondo messi insieme. «Nel 1984, dopo un articolo di Newsweek, smisero di portare i morti in giro per le strade come pubblico esempio», ci dice, «ma dal 1989 hanno ricominciato, e i familiari devono pagare le spese per le pallottole e per la cremazione». E la faccenda degli organi? «Le autorità prelevano gli organi dei condannati a morte in quanto appartengono ufficialmente allo Stato. I trapianti sono effettuati sotto supervisione governativa: il costo è inferiore del 30 per cento rispetto alla media, e ne beneficiano cinesi privilegiati e cittadini occidentali e israeliani».

E la faccenda dei cosmetici fatti con la pelle dei morti? «Dai giustiziati prendono il collagene e altre sostanze che servono per la produzione di prodotti di bellezza, tutti destinati al mercato europeo». Nel settembre scorso, della pelle di condannati o di feti, parlò anche un'inchiesta
del Guardian: citò la testimonianza, in particolare, di un ex medico militare cinese che sosteneva d'aver aiutato un chirurgo a espiantare gli organi di oltre cento giustiziati, cornee comprese: senza ovviamente aver prima chiesto il consenso a chicchessia. Il chirurgo parcheggiava il suo furgoncino vicino al luogo delle esecuzioni e, stando alla testimonianza, nel 1995 tolsero la pelle anche a un uomo poi rivelatasi vivo. «Devi prima capire», ripete, «che cos'è un laogai». Forse sì, forse dobbiamo capire: dobbiamo poterci raccontare, un giorno, tra vent'anni, che sapevamo. «I laogai sono parte integrante dell'economia cinese. Le autorità li considerano delle fonti inesauribili di mano d'opera gratuita: milioni di persone, rinchiuse, che costituiscono la popolazione di lavoratori forzati più vasta del mondo. E’ un modo supplementare, ma basilare, che ha fatto volare l'economia: un' economia di schiavitù».
Il numero dei laogai è imprecisato: è segreto di Stato.

Secondo l'Associazione, dovrebbero essere circa un migliaio, i prigionieri, se la rieducazione fosse giudicata non completata, possono essere trattenuti anche dopo la fine della pena: «Io avrei dovuto rimanerci per trentaquattro anni, se non fossi fuggito. Perché avevo delle opinioni. Perché ero cattolico. Perché ero un uomo. Il 20 novembre compio vent'anni da uomo libero». Ieri. «E continuerò a lavorare perché la parola laogai entri in tutti i dizionari, in tutte le lingue. Appena giunto negli Usa non ne volli parlare per cinque anni, non ci riuscivo, poi cominciai a vedere che in America la gente parlava dell'Olocausto, parlava dei gulag, e pero a proposito
della Cina parlava solo della Muraglia e del cibo e naturalmente dell'economia. Ma i laogai, in Cina, esistono da cinquantacinque anni». Ben più, quindi, dei ventisette anni che ci separano dalla nascita della cosiddetta politica del figlio unico instaurata nel 1979 da Deng Xiaoping, prassi che ha spinto milioni di contadini a sbarazzarsi della progenie femminile: almeno 55Omila bambine l'anno secondo l'organizzazione Human Rights
Watch. Più dei due anni che ci separano dal giro di vite giudiziario introdotto nel 2003 nel timore che l'arricchimento potesse portare troppa libertà: laddove le madri e i familiari delle vittime di Tienanmen sono ancor oggi perseguitate, e i sindacati proibiti, i minori deceduti sul lavoro impressionanti per numero, per non dire dei cosiddetti morti accidentali: prigionieri che precipitano dai piani alti degli edifici detentivi e che solo il racconto di pochi scampati ha potuto testimoniare. A Reporter senza frontiere e ad Amnesty Internatonal è invece toccato il compito di raccontare della rinnovata abitudine di rinchiudere i dissidenti negli ospedali psichiatrici, spesso imbottiti di psicofarmaci senza che le ragioni degli internamenti fossero state neppure ufficialmente stabilite: accade nel Paese che per un anno e mezzo riuscì e celare l'epidemia Sars, giacché i dirigenti cinesi temevano che potesse scoraggiare gli investimenti occidentali. Cose delicate. La Cina cresce sino al 10 per cento annuo e si metterà in vetrina ai giochi olimpici del 2008: e ci sono da quattro a sei milioni di persone, rinchiusi nei laogai cinesi, che stanno lavorando per noi. Harry Wu domenica mattina è ripartito per Washington. Doveva incontrare Bush e festeggiare i suoi vent' anni da uomo libero. O forse bastava da uomo.

di Filippo Facci, da "Il Giornale", 21/11/2005.

3 Samy, 6/03/06 20:17

Sono davvero sgomenta.
Non ci sono parole.

4 lemurella, 6/03/06 20:51

aiuto.da parecchio (almeno da 'No Logo',per il grande pubblico) è noto che anche le grandi marche si affidano al lavoro di persone che non è esagerato definire schiavi; per i vestiti a basso prezzo, pare ovvio-anche se catene come HM tentano di pubblicizzare le proprie linee come
'prodotte nel rispetto del lavoratore'. Tuttavia, se è giusto e sacrosanto evitare (boicottare, dicono i giovani;))le aziende che palesemente ledono i diritti dei lavoratori e degli animali, come cacchio si fa a stare al mondo, se non si è asceti, se non si è dotati dell'autocontrollo e del distacco per vivere senza tutte
le necessità indotte?Io passo periodi in cui non compro, non vivo, e oltre a tutto mi prende il groppo in gola quando vedo qualcuno farlo-poi si vede che il mio codardo istinto di sopravvivenza mi rende miope, e opto per il male minore, per il male cioé che non è provato,documentato,ma che nel mio cuore abituato al peggio sospetto comunque essere.

5 trueba, 9/03/06 02:23

Quando qualche anno fa ho letto "Se questo è un uomo" di Primo Levi sono stato male, ho provato quel dolore che nasce dal binomio consapevolezza-impotenza.. ma dalla mia parte c'era il fatto che si parlava degli anni '40.. Leggendo questo articolo il dolore si è fatto vivo.. fa male.. e mi chiedo: perchè non si fa niente? Come si può fermare tutto questo?

Cos'hanno in comune queste persone? Ciascuno di loro sta salvando migliaia di animali.

Siamo tutti diversi, trova il modo adatto a TE per aiutare gli animali!